Bullismo omofobico e Cyberbullismo

Il fenomeno del bullismo e del bullismo omofobico è certamente preoccupante, in particolare nelle scuole e sui social network, con i conseguenti tristi episodi di cronaca di giovani vittime suicide.

Il sistema giuridico italiano non fornisce una definizione del bullismo e nemmeno la giurisprudenza lo ha, al momento, elaborato. Il bullismo è sempre stato considerato sotto il profilo psicologico e non come una fattispecie avente rilevanza giuridica, ed è strettamente connesso al fenomeno del mobbing, che concerne le vessazioni in ambito lavorativo: la dottrina lo definisce anche “mobbing in etè evolutiva”.

Così come non esiste un concetto giuridico di bullismo, tanto meno è stato formulato giuridicamente il concetto di bullismo omofobico: non esistono in Italia, infatti, ad oggi nè un reato di omofobia nè un’aggravante per motivi omofobici connessa ad altri reati.

Come tutelare le vittime di bullismo?

In ogni caso è possibile, per tutelare le vittime di bullismo, applicare singolarmente alcuni istituti già esistenti nel nostro sistema legale.

I reati che si riferiscono a comportamenti tipici del bullo (o del gruppo di bulli) possono essere:

  • percosse (art. 581 codice penale)
  • lesioni personali (art. 582 c.p.)
  • rissa (art. 588 c.p.)
  • ingiuria (art. 594 c.p.)
  • diffamazione (art. 595 c.p.)
  • violenza sessuale (art. 609 bis e ss. c.p.)
  • sequestro di persona (art. 605 c.p.)
  • violenza privata (art. 610 c.p.)
  • minaccia (art. 612 c.p.)
  • atti persecutori (art. 612 bis c.p.)
  • molestie (art. 660 c.p.)
  • furto (art. 624 c.p.)
  • rapina (art. 628 c.p.)
  • estorsione (art. 629 c.p.)
  • danneggiamento (art. 635 c.p.)

Vi sono poi forme di prevaricazione più sottile, come l’isolamento della vittima o la derisione continua della medesima (“bullismo relazionale”): il bullismo infatti non è solo violenza estrema, ma anche quotidiano stillicidio di umiliazioni e di esclusioni.

Il Cyberbullismo

Si parla di cyber-bulling quando le prevaricazioni sono poste in essere o amplificate attraverso l’uso di strumenti e dispositivi elettronici e tecnologici, quali email, sms, mms, social networks (facebook, youtube etc.).
Un’importante caratteristica del bullismo, da un punto di vista giuridico, è che il fenomeno non è da ricondurre a condotte aggressive individuali, ma riflette dinamiche di gruppo, più complesse da contrastare.
Il bullismo non deve essere confuso con qualsivoglia atto aggressivo, in quanto l’essenza del bullismo sta nel suo carattere relazionale nello scopo prevaricatorio del bullo. Il bullismo è sistematico: continuo e non occasionale.

La tutela della vittima di bullismo dovrà pertanto abbracciare due diverse ambiti oltre al sostegno psicologico si dovrà intraprendere la strada legale della denuncia nei tempi e modi previsto dalla legge per i singoli reati subiti.

Discriminazione nel mondo del lavoro: mobbing e omonegatività

In questo articolo vediamo quali sono gli strumenti per proteggersi da Mobbing, omonegatività e discriminazioni nell’ambito lavorativo.

Leggi Italiane contro la Discriminazione nel mondo del lavoro

In ambito lavorativo, in particolare, il D.Lgs. 216/2003 fa specifico riferimento (art. 3 co. 1) alle seguenti aree:

  • accesso all’occupazione e al lavoro, sia autonomo che dipendente, compresi i criteri di selezione e le condizioni di assunzione;
  • occupazione e condizioni di lavoro, compresi gli avanzamenti di carriera, la retribuzione e le condizioni del licenziamento;
  • accesso a tutti i tipi e livelli di orientamento e formazione professionale, perfezionamento e riqualificazione professionale, inclusi i tirocini professionali;
  • affiliazione e attività nell’ambito di organizzazioni di lavoratori, di datori di lavoro o di altre organizzazioni professionali e prestazioni erogate dalle medesime organizzazioni.

Cos’è il Mobbing

Le violenze, le aggressioni – anche verbali – e i maltrattamenti subiti sul luogo di lavoro prendono normalmente il nome di mobbing.
Le forme che il mobbing può assumere, anche al di fuori di un contesto prettamente lavorativo, nei confronti della vittima possono consistere in pressioni o molestie psicologiche, calunnie sistematiche, maltrattamenti verbali ed offese personali, minacce o atteggiamenti miranti ad intimorire ingiustamente o avvilire, anche in forma velata ed indiretta, critiche immotivate ed atteggiamenti ostili, delegittimazione dell’immagine, anche di fronte a colleghi ed a soggetti estranei all’impresa, ente o amministrazione.

Inoltre il mobbing può consistere altresì in forme di esclusione o immotivata marginalizzazione dell’attività lavorativa ovvero svuotamento delle mansioni, nell’attribuzione di compiti esorbitanti o eccessivi, e comunque idonei a provocare seri disagi in relazione alle condizioni psicologiche e fisiche della vittima, attribuzione di compiti dequalificanti in relazione al profilo professionale posseduto, impedimento sistematico ed immotivato all’accesso a notizie ed informazioni inerenti l’ordinaria attività di lavoro, marginalizzazione immotivata della vittima rispetto ad iniziative formative, di riqualificazione e di aggiornamento professionale, esercizio esasperato di forme di controllo nei confronti della vittima, idonee a produrre danni o seri disagi, atti vessatori correlati alla sfera privata del lavoratore consistenti in discriminazioni.

L’Omonegatività sul lavoro

Nel D.Lgs. 216/2003 il legislatore non parla di mobbing ma di molestie in ambito lavorativo (art. 2 comma 3) assimilandole alle discriminazioni definendole in modo puntuale come “comportamenti indesiderati” posti in essere per discriminare in via diretta o indiretta “aventi lo scopo o l’effetto di violare la dignità di una persona e di creare un clima intimidatorio, ostile, degradante, umiliante e offensivo”, quello che spesso viene definito come un “clima di omonegatività sul lavoro”.

Adozione con maternità surrogata

È possibile adottare il figlio del compagno concepito con maternità surrogata?

La risposta è sì.

Ma attenzione, ciò che il Tribunale riconosce non è l’adozione da parte di una coppia gay, ma riconosce l’adozione in casi particolari come previsto già nell’art. 44 della L.184 del 1983 sulle adozioni. Il suddetto articolo prevede la possibilità che il genitore non biologico adotti il figlio naturale o adottivo dell’altro nel caso in cui l’altro genitore sia morto o rinunci alle sue prerogative. Va sottolineato che il termine coniuge viene inteso in modo generico relativamente al sesso.
Solo però con la sentenza n. 299/2014 del Tribunale dei Minorenni di Roma che ha riconosciuto ad una donna il diritto di adottare la figlia della propria compagna, si comincia a parlare della possibilità di adottare il figlio del proprio compagno omosessuale.

Il tribunale con le proprie sentenze ancora una volta corre più veloce del Legislatore colmando in via interpretativa il vuoto normativo.
Questo trend positivo trova la sua giustificazione nella società e nel modo in cui questa interpreta i concetti di famiglia, di matrimonio e di coppia. Ad essere ritenute degne di tutela, quindi, non sono solo le famiglie fondate sul matrimonio, ma anche quelle che, comunque, costituiscono una formazione sociale idonea a consentire e a favorire il libero sviluppo della persona nella vita di relazione (Corte Costituzionale n. 138/2010).
Il Tribunale dei Minorenni di Roma con più sentenze in merito, proprio applicando il principio sopra indicato e previsto nell’art. 44 della legge sulle adozioni, ha riconosciuto l’adozione dei figli da parte del partners omosessuale del genitore naturale.
Il Tribunale, infatti, ha posto la sua attenzione, sul fatto che ciò che deve spingere il Giudice a prendere una decisione in merito alla adottabilità del figlio del compagno omosessuale non sia il pregiudizio in parte diffuso nella società, ma il benessere e la tutela di un sano sviluppo psicologico del minore. Il Tribunale, infatti, quale organo superiore di tutela del benessere psicofisico dei bambini, non può e non deve aderire stigmatizzando una genitorialità “diversa”, ma parimenti sana e meritevole di essere riconosciuta in quanto tale.

Adozione Legittimante e Adozione “semi-piena”

In Italia, infatti, accanto all’adozione c.d. legittimante, abbiamo l’adozione “semi piena” o in casi particolari.

Con la l’adozione legittimante, il figlio adottivo diventa figlio della coppia adottante, come se fosse legittimo (ecco perchè si chiama legittimante) o, come si dice oggi, figlio nato nel matrimonio e gli adottanti devono essere in possesso di alcuni requisiti.
Successivamente all’adozione legittimante:

  •  l’adottato sostituisce il proprio cognome, con quello dei genitori adottivi e lo può trasferire ai propri figli;
  • come già detto, si costituisce un rapporto di filiazione a 360° fra figlio e genitori adottivi e conseguentemente,
  • l’adottato acquista la parentela con tutti i componenti della famiglia dei genitori adottivi;
  • ne consegue che ogni legame giuridico fra adottato e la sua famiglia d’origine (biologica) viene definitivamente troncato, sopravvivono solo i divieti matrimoniali.

L’adozione in casi particolari, lo dice la sua stessa dizione, è concessa solo in casi ben precisi e tassativamente indicati dalla legge, nel senso che non possono essere aggiunti, neanche in via interpretativa, altri.
E’ stata prevista per favorire il consolidamento dei rapporti tra il minore e i parenti o le persone che già se ne prendono cura, così da proteggere il minore stesso, anche se non sussistono tutti i requisiti per l’adozione legittimante.
Non sono, quindi, richiesti i requisiti stringenti per quest’ultima adozione e, di conseguenza, non ne vengono neanche riconosciuti tutti gli effetti: ecco perchè l’adozione in casi particolari viene anche chiamate “semi piena”.

Con l’adozione semi piena:

  • il minore acquista lo stato di figlio adottivo dell’adottante;
  •  per il minore, permangono tutti i diritti e i doveri verso la famiglia di origine, anche se i genitori biologici perdono la responsabilità genitoriale;
  •  il minore antepone, al proprio, il cognome dell’adottante;
  • non si crea alcun legame di parentela con i componenti della famiglia dell’adottante;
  •  l’adottato ha gli stessi diritti successori del figlio legittimo, mentre l’adottante non ha alcun diritto successorio sul figlio adottivo;
  •  il genitore adottivo ha il dovere di mantenere, istruire ed educare l’adottato; assume la responsabilità genitoriale; amministra i beni del minore, ma non ha l’usufrutto sugli stessi;
  • l’adottante e adottato hanno il reciproco dovere di prestare gli alimenti, l’uno nei confronti dell’altro.

Al Tribunale pertanto si può chiedere la c.d adozione semi piena prevista dall’art. 44 L. 184/1983 sulle adozioni primo comma lettera d). Sarà dunque l’interesse del minore a far propendere per la sua adozioni in casi particolari da parte anche di una coppia non sposata sia etero che omosessuale.
In fondo, far ricadere la scelta su una coppia sposata, perchè stabile, oggi giorno, esprime un criterio che fa acqua, perchè con l’aumento esponenziale delle separazioni e dei divorzi, il vincolo matrimoniale non è più sinonimo di stabilità.
L’art. 44, poi, non contiene alcuna discriminazione fra coppie in base al loro orientamento sessuale e se mai fosse interpretato in tale senso, si violerebbe la Costituzione.